Attività svolta dal 1 al 15 agosto 2015
Quest'anno il Gruppo Grotte Treviso ha partecipato al campo speleologico sui Piani Eterni (BL) come uno dei gruppi sostenitori. L'area fa parte del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, le grotte si trovano ad una quota superiore ai 1700 metri, in zona di Riserva Integrale (serve il permesso anche solo per poterci passare camminando). Link all'articolo riassuntivo: http://www.scintilena.com/risultati-e-sinergie-dal-campo-nei-piani-eterni-dolomiti-bellunesi/08/18/
Le attività svolte dai soci GGT, all'interno del campo, hanno spaziato tra placchettatura e posizionamento GPS di grotte già conosciute e rilevate, rivisitazione di grotte che chiudevano su neve o ghiaccio in passato, esplorazione e rilievo di nuovi pozzi e documentazione fotografica. Un'altra importante attività del campo ha visto protagoniste molte squadre che si sono alternate nel complesso PE10 per riarmare il ramo della Dolina Verde, esplorato in parte una ventina d'anni fa ma che promette scorciatoie e nuovi passaggi.
Una grossa novità del campo estivo 2015 è stata la scoperta del Baratro Cin, un pozzone all'interno dell'Abisso Scomparso. Questa grotta merita una breve descrizione, sia storica che dello stato attuale. Scoperta ed esplorata molti anni fa fino alla base del primo pozzo (P90) e poco oltre, poi si è richiusa a causa di un tappo di neve che per anni ha impedito di scendere oltre i -30 m circa, dove il pozzo si stringe. Da qui l'appellativo “Scomparso”, più che mai adatto vista anche la posizione abbastanza mimetizzata tra i mughi. Pochi anni fa il tappo di neve e ghiaccio si è sciolto, permettendo di tornare a visitare il fondo del P90, senza però regalare grandi prosecuzioni se non piccoli pozzetti che non permettono di scendere ulteriormente. Come spesso accade ci sono aneddoti e storie di vecchie esplorazioni che con il tempo tendono a diventare più simili a leggende che resoconti. A quanto pare la discesa del P90 proseguiva un tempo in un mulino glaciale nel fondo, ma l'esplorazione si era bloccata per mancanza di viti da ghiaccio. In un'altra occasione una squadra arrivata al fondo del P90 disse di avere percepito uno strano odore, come di muschio; strano per una grotta che chiude su ghiaccio… contemporaneamente era però in corso un tentativo di tracciamento delle correnti d'aria mediante incensi all'interno del complesso del PE10, all'insaputa di chi era in Scomparso. La storia non è mai stata chiarita, tra le tesi dei sostenitori di un collegamento e dei detrattori il racconto è diventato un mistero.
Fortunatamente anche nel 2015 l'Abisso Scomparso è rimasto aperto, consentendoci di entrare per controllare la situazione. A metà del primo pozzo a circa -40 c'è un ponte di neve ghiacciata che fa venire i brividi, sia per le temperature piuttosto fresche di questa grotta, sia perché una volta scesi sotto di esso ci si accorge che in realtà da un lato è solamente appoggiato in modo precario ad una parete quasi verticale; non si capisce bene quale forza lo regga in posizione, sporge di circa 3 metri ed è spesso un metro e mezzo. 5-6 metri cubi di neve ghiacciata sospesi sopra la testa ti fanno arrivare al fondo in un battibaleno! Da li si gira attorno al pozzo con un traverso sul ghiacciaio-nevaio. Sotto ad una bellissima cascata di ghiaccio è stata disostruita una fessura che presto è diventata un cunicolo che soffia una forte corrente d'aria verso l'esterno. Da li ci si affaccia su qualcosa di immenso, di un nero che non permette di vedere né cosa c'è sopra, né cosa c'è sotto: il Baratro Cin, dedicato a Francesco Dal Cin. Forse il racconto dell'odore di muschio e incenso ha un riscontro reale…
Il Baratro è un pozzo grandioso, di dimensioni che incutono timore e non consentono nemmeno alle potenti lampade led di sondare l'oscurità del suo fondo. I massi scaricati durante l'armo cadono per 5 secondi abbondanti, restituendo un tonfo inquietante. Entrandoci si ha la sensazione di essere piccoli, molto piccoli. Il rilievo dirà: P100, con almeno altri 35 metri sopra la testa e sezione media di 50×20. L'ultimo tiro che porta al fondo è da 60 metri nel vuoto, a 10 metri dalla parete più vicina. Sul fondo c'è un ghiaione con inciso il greto di un torrente che si attiva durante le piene. Purtroppo non ci sono prosecuzioni sgombere da detriti, un successivo pozzetto aspira fortemente aria sul fondo ma disostruire è pressoché impossibili a causa degli spazi molto ristretti. Anche una risalita in fondo al salone non porta a nulla di significativo. È un peccato.
Realizzare buone fotografie in un ambiente del genere è una sfida, ma non potevo farmi sfuggire l'occasione. Un giorno con gli assistenti-modelli Daniela e Figata abbiamo fotografato il glaciale fondo del P90, in un'altra uscita invece è stato documentato il Baratro Cin (foto in apertura). Più o meno è andata così… A 70 metri dal fondo appendo il treppiede ad un frazionamento, puntato sulla parete verticale. Io sono sui bloccanti sul tiro superiore, in longe sul frazionamento del treppiede, anche la reflex è assicurata. Un groviglio. La posizione è molto scomoda per me, ma stabile per la macchina fotografica. Dino mi fa da soggetto in primo piano, a 5 metri da me sui frazionamenti successivi. Dado e Omar sono sul fondo, protetti dalla caduta massi, per illuminare il grande salone. Scelgo l'inquadratura, non è semplice lavorare in questa posizione. Scatto una foto al fondo, fino ad oggi avevo visto solo il nero; è impressionante. Poi è il turno del soggetto, anche lui in corda. Chiedo a Dino di girarsi, punta i piedi sulla parete per sporgersi e crack! Parte un masso in caduta libera. SASSOOO! Passano 2 secondi, lo vediamo sparire nel buio. Altri due secondi, inizia a sibilare. Poi il tonfo e gli improperi di chi stava sotto (ben distante comunque). Ha sfiorato la corda. Realizzo lo scatto al soggetto in primo piano e ripongo il materiale fotografico nel sacco avendo cura di non fare cadere nulla. Ci abbiamo impiegato mezz'ora giusta, preparativi compresi, ho perso sensibilità alla gamba destra a forza di stare seduto sull'imbrago ma ne è valsa la pena. Peccato che non ci sia un soggetto sul fondo del pozzo per dare la scala delle dimensioni, era troppo pericoloso, ma si vede comunque il sacco giallo in cui c'era la corda da 200 m usata per scendere. Posto pazzesco.
Complessivamente i 15 giorni di campo per me sono stati una piacevole vacanza post-laurea in un luogo ancora incontaminato (almeno nella zona di Riserva Integrale) ma soprattutto un'occasione per conoscere persone nuove con differenti approcci alla speleologia. Alla prossima!